Verso il congresso

I repubblicani forza di progresso a cui non si può rinunciare

Sarà un congresso a decidere il futuro del Partito repubblicano nell'ultima settimana di febbraio del prossimo anno. C'è un'ipoteca forte sull'esistenza del Pri di fronte alla richiesta di partecipare alla fondazione di un nuovo soggetto politico che aiuti quel processo di semplificazione che molti ritengono opportuno per rinnovare la politica italiana. Altresì è evidente, anche dal dibattito che si è svolto in Consiglio nazionale e prima ancora su questo quotidiano, l'istanza di chi ritiene il Pri una componente irrinunciabile della vita politica nazionale, a qualunque condizione, anche a costi altissimi. La ragione non è dovuta a motivi nostalgici e sentimentali. Abbiamo tutti nostalgia e sentimenti per la storia del nostro partito, ma abbiamo imparato, in questa casa, a guardare avanti. E proprio guardando avanti non vediamo oggi una reale forza di progresso nel paese, quale quella noi abbiamo avuto sempre l'ambizione di rappresentare. E sempre abbiamo provato a farlo, sapendo che avremmo avuto in ogni caso un elemento capace di legarci all'opinione pubblica.

Certo, ora tutto è più difficile. E' cambiato il sistema politico, la legge elettorale, alcune grandi personalità repubblicane sono mancate e non siamo stati capaci di sostituirle. Ma, lo stesso, una forza di progresso, ad esempio come quella che si è affermata negli Usa nelle ultime presidenziali, continua a mancare. Questa forza non è il Pd, preoccupato di coagulare tutti i possibili consensi contro la maggioranza. Un Pd che appare paralizzato. Ma questa forza non sarà neppure il Pdl, se non sa togliere alcuni vizi sostanziali a suoi esponenti di rilievo che nulla hanno a che fare con il progresso e poco anche con la libertà. Il comportamento del governo e della maggioranza sul caso Englaro è sintomatico al riguardo.

E' vero che sul fronte economico, dove bisogna dimostrare di poter superare la crisi e rilanciare il Paese, il ministro Tremonti sembra incarnare competenza e tenacia. Ma se poi non si aboliranno le province e si pensa di varare al contempo un federalismo fiscale, si corrono rischi enormi. E sinceramente non si capisce la ragione di far conoscere pubblicamente gli eventuali dissensi fra il ministro dell'Economia e il governatore della Banca d'Italia. Una forza di progresso sa anche essere capace di salvaguardare gli equilibri istituzionali e si preoccupa di non forzare quelli precari. Ma a volte abbiamo l'impressione che all'interno dello stesso governo tali equilibri vengano forzati: se il premier, ad esempio, annuncia un'iniziativa e una parte della coalizione se ne dissocia, come è avvenuto sul presidenzialismo; o addirittura quando è successo che il presidente della Commissione Giustizia della Camera ha preso le distanze dal ministro Guardasigilli. Una forza di progresso evita simili polemiche interne. L'Unione di Prodi, ad un determinato momento, è parsa un'armata Brancaleone. Non vorremmo che anche l'esperienza attuale del centrodestra subisse una deriva simile.

Il Partito repubblicano ha saputo svolgere negli anni un compito di responsabilità e di tutela delle libertà nei confronti del paese che non tutte le altre forze politiche sono state capaci di esercitare. Prima di metterlo da parte, occorrerebbe vedere la nascita di un partito capace di ereditare quelle stesse nostre caratteristiche che hanno saputo far vivere le grandi democrazie.

Roma, 23 dicembre 2008